giovedì 29 agosto 2024

La bambina melodrammatica di Adele D'Addario


La bambina melodrammatica 

Adele D’addario nasce a Locarno, in Svizzera sul finire del secolo scorso, da genitori siciliani. All’età di 10 anni, a seguito della separazione dei genitori, si trasferisce a Messina con la madre. A Messina termina gli studi conseguendo la laurea in Lettere.Attualmente vive in provincia di Monza-Brianza dove insegna, come precaria, nelle classi medie inferiori.

"Seguendo il solco delle più collaudate tecniche narrative in questo libro si narra il percorso che dalla crisi passa alla lotta e dalla lotta approda a una risoluzione, con o senza lieto fine lo stabilirà la sensibilità e la personale biografica del lettore. Questo è il primo livello di lettura, il primo strato di terra letteraria che il lettore incontra. Scavando sotto il primo strato viene portata alla luce la poesia. Perché quando la poesia è davvero valida allude sempre ad un altrove, opera uno slittamento di percezione, rimanda a uno scavo ulteriore, più profondo, a ulteriori significati senza mai venire meno alla fedeltà nei confronti dello strato più evidente, quello in superficie. Adele D’Addario lo fa utilizzando un linguaggio contemporaneo, che affonda le proprie radici in un solido terreno di tradizione lirica ma che si spinge in territori che potremmo definire pop in cui risuona l’eco di rime interne nascoste e di quelle ben visibili a fine verso. D’Addario usa una lingua piana, comprensibile che rifugge artifici, abbellimenti inessenziali e virtuosismi fini a se stessi.

Malgrado non miri alle altezze rarefatte del sublime punta comunque decisa alla verticalità del verso piantando al contempo con decisione i piedi a terra, nel quotidiano.Questa schiettezza e questa chiarezza formale vengono attraversate a tratti da metafore spiazzanti e inaspettate che innescano complessità ma non complicazione nel tessuto sintattico e semantico".

L’anniversario

Celebriamo oggi, a questa mensa,
l’anniversario del nostro incontro
mancato, il fiorire disatteso
dei germogli che mai ponemmo a dimora.

Guardami.
Sono un’attesa che freme,
un desiderio che geme e si sconfessa,
una belva che divora se stessa,
la propria ostinata autarchia.

Sono una asserzione reiterata, spogliata
di ogni aggettivo garbato,
sono la soglia di un bisogno
occultato, di un bisogno
che ripudia attese ulteriori
e mai se ne affranca.
Schiava dei miei rimpianti,
della mia sottomissione.

Tu ora guardi altrove, tu
mai davvero sfiorato
dal crollo
del nostro destino mancato.

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