Ciò che rimane di me di Federica Re
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La brevità non è sinonimo di semplicità, in particolare nelle composizioni di Federica Re. La sua parola si dipana sulla carta in mille rivoli di significati, rimandi, metafore, suggestioni, immagini che si manifestano pure visivamente, nella punteggiatura, negli spazi, nei corsivi, in una poesia “pittorica” che, anche attraverso la commistione tra arti diverse mira a sfocare i confini, a superare i limiti (di spazio, di tempo, di forma), a cancellare le identità, per tentare di fondersi in un indefinito che anela esplicitamente all’infinito. E poco conta se ciò sia possibile o meno: l’anelito resta. E forse va oltre. (dalla postfazione di Giovanni Moia) Se (non) mi guardi mi stacco dal finito e le mie dita ti ammoniscono fruscianti mentre dissemino le s p oglie di me stessa rivendicandone l’impavido clamore. Non hai saputo tenermi tra le braccia né riconoscere le labbra sulle tue ed hai scambiato ogni mia resurrezione per un ritorno dopo la follia. (ma questa volta non ti cercherò) La...